
Forza della natura
Ogni tanto c’è bisogno di allontanarsi dal cemento e dai gas di scarico.
Eravamo partiti per un semplice weekend da trascorrere in natura, non mi aspettavo che questo breve viaggio di due ore in auto mi avrebbe scossa così tanto. Pensavo di parlare delle Dolomiti solo tra un bel po’ di tempo, ma non posso trattenermi dal condividere quello che ho visto; e così ho deciso di andare fuori programma con questo articolo.
Il viaggio è stata una decisione dell’ultimo minuto e per mantenere il budget basso abbiamo optato per restare fuori da Cortina, così da essere anche più vicini alle cime più importanti. Quello che non sapevamo quando abbiamo prenotato l’albergo era che questo è situato proprio nell’epicentro delle zone colpite dall’alluvione dello scorso Ottobre.
Alberi o stuzzicadenti?
Che dire, avevo sentito la notizia in Ottobre e me ne ero rammaricata, ma essere in quei posti e poter osservare gli effetti reali di persona è stato uno shock.
Da un certo punto in poi, già nel Parco delle Dolomiti Bellunesi, ma soprattutto arrivati nella valle di Agordo, sui lati della strada non si sono visti altro che alberi sradicati. Io avevo i brividi e mi sono voluta fermare per osservare questo paesaggio che sembrava finto; su tutti i versanti, fin quasi a metà altezza, era come se qualcuno avesse rovesciato una confezione di stuzzicadenti.
Alberi come stuzzicadenti..





La sensazione che ho provato è stata duplice; da un lato di impotenza contro la forza incredibile della natura, generosa e distruttrice allo stesso tempo; dall’altro una profonda tristezza e colpevolezza. Perché ciò che ha impiegato migliaia di anni per generarsi, noi lo abbiamo distrutto in pochissimo tempo. Perché tempeste di questa portata, con venti pari a quelli di un uragano in montagna e piogge accumulate nel giro di una settimana in quantità pari a quelle di un anno, non possono essere frutto del caso, ma solo uno dei tanti effetti del cambiamento climatico in atto.
Fa male vedere uno scenario del genere. Eppure dopo un po’ ti abitui anche a quel paesaggio. Quelli che non si abitueranno facilmente sono gli abitanti di queste terre. Questi alberi erano parte di loro, parte della loro vita, della loro quotidianità, della loro economia, e sanno che difficilmente li rivedranno come prima.
Da napoletana conosco bene l’effetto che fa vedere distrutto qualcosa che è parte di te: ancora fa male quando guardo il Vesuvio adesso dopo l’incendio dell’estate del 2017; anche lì, uno spettacolo che la natura ci aveva generosamente offerto e che noi abbiamo volontariamente distrutto.
Sottoguda
Dopo aver attraversato l’Agordino, siamo arrivati a Sottoguda, nel comune di Rocca Pietore, uno dei borghi più belli di Italia, famoso per i suoi Serrai, un canyon profondo che porta in pochi km percorribili a piedi direttamente alla Malga Ciapela, ai piedi della Marmolada, la cima più alta delle Dolomiti.
I Serrai erano meta di escursionisti di ogni tipo, in ogni periodo dell’anno, compreso l’inverno quando esperti scalatori venivano ad arrampicarsi sulle sue cascate di ghiaccio.






Parlo al passato, perché ora il canyon è lì, ma lo si può ammirare solo da lontano. L’accesso è interdetto perché tutte le infrastrutture sono andate quasi completamente distrutte durante l’alluvione. Solo la chiesetta è rimasta lì incredibilmente intatta, con accanto le cascate e sotto il sentiero a pezzi.
Già, perché il lato positivo di tutto questo è che nessuna abitazione è andata distrutta e questo appare quasi un miracolo. Ma avendo perso l’attrattiva turistica principale, il paese non ha più il movimento di prima; ed è un peccato, perché noi le Dolomiti ce le siamo godute lo stesso.
Lo spirito della montagna
Questi territori hanno risentito profondamente degli eventi dello scorso Ottobre. C’è ancora qualcosa nell’aria, una sensazione, che fa capire che un disastro è avvenuto e che è una ferita ancora da rimarginare. A guardare i video di quei giorni, si capisce che già tanto è stato fatto, eppure i segni sono ancora troppo visibili. Non vale lo stesso in Trentino, dove non c’è più evidenza di nulla; sembra quasi che l’”uragano” nell’abbattersi abbia deciso di seguire il confine tra le due regioni.
Da tutto questo, quello che risalta agli occhi è la forza degli abitanti di queste terre venete, che si sono rimboccati le maniche e da soli si sono rialzati in piedi. In soli 24 giorni hanno ricostruito l’acquedotto dei Serrai che era andato completamente distrutto.
Lo Stato finora li ha aiutati ben poco. C’è chi è più positivo ed è convinto che si risolverà tutto in breve tempo, grazie anche all’UNESCO che contribuirà ai finanziamenti per la riprogettazione dei Serrai, e chi invece è meno ottimista sulla burocrazia italiana; ma in tutti c’è la voglia di superare questo capitolo buio.
Ho lasciato questi luoghi con il desiderio di contribuire, di aiutare, perché è qui che si riscopre il vero senso della comunità, di condivisione, di vicinanza, di collaborazione e tradizioni a cui non siamo più abituati. Nelle nostre grandi città ormai si è perso, siamo tutti scollegati, connessi solo ai nostri cellulari.
Ed è per questo che cercherò di andare ancora più spesso in questi luoghi, per aiutarli a risollevarsi e per riconnettermi all’essenza migliore dell’uomo. Spero per voi che farete lo stesso.















